RIFLESSIONI DEL CONSIGLIO DIRETTIVO NAZIONALE AINp SULLE NUOVE INIZIATIVE DI REGOLAMENTAZIONE DELLA PROFESSIONE DEL NEUROPSICOLOGO
Negli ultimi tempi, lo scenario entro il quale si muove la pratica professionale della neuropsicologia sta facendo registrare un interesse particolare, da parte di alcuni esponenti delle realtà ordinistiche regionali. In particolare, vanno segnalate due iniziative, una promossa dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, l’altra da quello del Piemonte, contenenti, ad avviso della nostra Associazione, pericolosi germi di una illegittima ed insostenibile discriminazione tra i colleghi che da anni si occupano di diagnosi e riabilitazione neuropsicologica, con ricadute altrettanto gravi anche nei confronti di coloro che, più giovani, da minor tempo ma con eguali entusiasmo, motivazione ed interesse, stanno investendo nella loro formazione in Neuropsicologia. Analizziamole entrambe. Nella seduta del 17 Luglio 2009, il Consiglio dell’Ordine del Lazio ha approvato un documento sulla Neuropsicologia, pubblicato sul suo Notiziario, numero doppio 4/5 del 2009, nella Sezione: Tutela della Professione. In esso, tra l’altro, si riafferma che, dopo il riordino delle Scuole di Specializzazione di Area Psicologica, disposto con Decreto Ministeriale del 4 Luglio 2006, la sola modalità di ottenimento del titolo di “Specialista in Neuropsicologia” è, attualmente, quella legata alla frequenza di una Scuola di Specializzazione universitaria in Neuropsicologia, i cui corsi hanno durata quinquennale e sono aperti esclusivamente a chi è in possesso dell’abilitazione alla professione di Psicologo. Sulla base di questa, peraltro indiscutibile, asserzione, nel documento viene fatto un importante cenno al valore attribuibile ai diversi corsi in Neuropsicologia, attivi nel panorama della formazione privata. Dopo aver ricordato che essi non abilitano all’acquisizione del titolo di “Neuropsicologo”, considerato equivalente a quello di “Specialista in Neuropsicologia”, è specificato che: “L’esito formale di corsi di formazione diversi [da quelli specialistici universitari, n.d.r.] può concretizzarsi in un attestato di frequenza o partecipazione, senza effetti legati all’abilitazione alla specifica attività del neuropsicologo né all’utilizzo del titolo professionale specifico. Intendiamo richiamare l’attenzione proprio sull’inciso: “senza effetti legati all’abilitazione alla specifica attività del neuropsicologo”, poiché è in esso che ritroviamo una distorta, quanto illegittima ed, in prospettiva, pericolosa presa di posizione sullo status e sulle possibilità operative dei colleghi che, interessati alla Neuropsicologia, hanno, da anni, investito in formazione presso privati, non avendo avuto modo di accedere (o, semplicemente, non essendo motivati all’accesso) all’unico Corso di Specializzazione in Neuropsicologia attualmente attivo in Italia, presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Affermare, infatti, che quella del neuropsicologo sia un’attività definibile come specifica, per la quale sia prevista una qualsivoglia abilitazione, è cosa totalmente destituita di fondamento giuridico ed apertamente contraria alle norme vigenti nel nostro Paese. Ed infatti, la frequenza di un Corso di Specializzazione Universitario, in qualunque disciplina (si pensi, ad esempio, a tutte quelle che compongono la scienza della Medicina), non abilita all’esercizio “riservato” (dunque, esclusivo) di alcuna attività professionale, bensì consente solo di utilizzare in maniera legittima la qualifica di “Specialista”, che è, ovviamente, cosa ben diversa! Il titolo di Specialista in Neuropsicologia non rappresenta quindi titolo per l’esercizio esclusivo della Professione, ma soltanto titolo per esercitare quella stessa professione in qualità di specialista. E’ naturale che qualora si partecipasse ad un concorso pubblico per “Neuropsicologo” la specializzazione sarebbe un titolo più spendibile insieme probabilmente a quelli elencati nei “Requisiti ulteriori consigliati” all’interno del documento redatto dalla Commissione di Neuropsicologia dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte dal titolo “Requisiti auspicabili di buona pratica professionale per lo psicologo che opera in ambito neuropsicologico”. Ricordiamo, infatti, che alle cosiddette Scuole di Specializzazione universitarie viene unicamente concesso la facoltà di rilasciare titoli specialistici professionali, come previsto dal D.P.R. del 10 marzo 1982 n. 62, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 17/04/1982, di cui si riporta la parte del testo di nostro interesse: “…le università possono attivare scuole di specializzazione per il conseguimento, successivamente alla laurea, di diplomi che legittimino nei rami di esercizio professionale l’assunzione della qualifica di specialista”. Il testo è di estrema chiarezza e non consente interpretazioni difformi da quella letterale: il diploma rilasciato dalla Scuola di Specializzazione legittima, per quello specifico ramo di esercizio professionale, l’assunzione della qualifica di specialista (nel nostro caso, Specialista in Neuropsicologia), non stabilendo alcuna “riserva” per quanto attiene alla medesima attività professionale. Questo significa che la frequenza della scuola di specializzazione post lauream consente “unicamente” di ottenere un diploma che rende legittimo definirsi “specialista” nella disciplina che si esercita professionalmente, non che abiliti all’esercizio professionale. È questo il motivo per il quale i medici abilitati ma non specialisti possono curare pazienti, le cui patologie, ovviamente, sono quasi sempre oggetto di studio e campo di applicazione di settori “specialistici” della Medicina. In altre parole, l’esercizio professionale può essere svolto, del tutto legittimamente, tanto dal professionista che potrà utilizzare il titolo di specializzazione conseguito, quanto dal professionista che, pur non avendo conseguito (e non vantandolo!) il titolo di “specialista”, ha tuttavia consapevolezza e competenza necessaria per erogare prestazioni facenti parte a tutto tondo degli ambiti operativi e di intervento tipici della sua professione. Se così non fosse, si produrrebbe, nel caso in questione, una riserva circa la possibilità di operare professionalmente in favore degli specializzati, ed in questo modo si sottrarrebbe “almeno” un ambito fondamentale di pertinenza professionale (la diagnosi e riabilitazione neuropsicologica) agli stessi Psicologi, a ciò abilitati dall’art. 1 della 56/89. Entrambi (professionista specializzato e non), per quanto attiene alle responsabilità nei confronti dell’utenza, sono tenuti a rendere nota la loro effettiva qualificazione ed esperienza, sono soggetti alla legge, in ordine alle responsabilità professionali e, su un piano più strettamente operativo, si confrontano in un regime di “mercato”, come previsto e regolamentato dalle norme vigenti. A questa “regola”, come spesso accade, si affianca un’unica “eccezione”, rappresentata dalla pratica della Psicoterapia. Questo accade esclusivamente perché il primo comma dell’articolo 3 della legge 56 del 18/02/1989, che ha regolamentato, nel nostro Paese, la professione di Psicologo, istituendone l’Ordine professionale, dispone che: “L’esercizio dell’attività psicoterapeutica è subordinato ad una specifica formazione professionale, da acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea in psicologia o medicina e chirurgia, mediante corsi di specializzazione almeno quadriennali che prevedano adeguata formazione e addestramento in psicoterapia...” Come è noto, nulla del genere esiste, come riserva dell’attività professionale, per le altre scuole di Specializzazione in Medicina o in Psicologia (si pensi alle specializzazioni in Psicologia della Salute o in Psicologia del Ciclo di vita), che come la Scuola di Specializzazione in Neuropsicologia, abilitano a svolgere la professione di Psicoterapeuta, ma non tolgono la possibilità e chi non è specializzato in Psicologia della salute o Psicologia del ciclo di vita, di occuparsi di questi rami della psicologia, che rientrano pienamente nella professione dello Psicologo. La differenza tra le due condizioni pare comunque evidente: il legislatore afferma che un laureato abilitato, ma non specialista, possa esercitare nello stesso ramo professionale nel quale esercita lo specialista, il quale, però, può farsi vanto del suo titolo, mentre nella psicoterapia questo non è consentito ed è precluso l’esercizio stesso dell’attività professionale. La legge lo esplicita apertis verbis e non possono esservi dubbi interpretativi. Appare ora importante soffermarsi su un non minore elemento di preoccupazione, derivante da un’iniziativa intrapresa molto di recente (e tuttora in corso di articolazione), da parte della Commissione di Neuropsicologia dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte. Nelle ultime sedute della Commissione, come da verbale redatto, si è deciso di promuovere, in vista di una ritenuta auspicabile “sanatoria”, lo studio dei requisiti di “esperienza pratica certificabile” che consentano, in futuro, ai colleghi che ne siano in possesso, di poter legittimamente vantare, pur senza la prevista formazione specialistica universitaria quinquennale, il titolo di “Specialista in Neuropsicologia”. Per quanto è dato saperne, dalla lettura del verbale, si va coltivando l’idea di riconoscere il titolo di Specialista a coloro che possano dimostrare di avere svolto, per 4 o 5 anni, almeno 1700 ore di attività annue presso strutture pubbliche o strutture private equiparate o convenzionate - presidi). A nostro avviso, per denunciare le insidie contenute in una proposta siffatta, non si necessita davvero di entrare nel merito della “giustezza” di tali criteri, sul rispetto effettivo dei quali, esattamente come accaduto con le precedenti “sanatorie” previste dalla Legge 56/89, sarebbe sin troppo facile ipotizzare che possa verificarsi un’analoga applicazione del tutto “fuori controllo”, foriera di abusi ed ingiustizie sostanziali. Le “sanatorie” infatti, assumono un senso realmente efficace solo quando riservino tutto un settore di attività professionale (si veda, ad esempio, l’esercizio della professione di psicologo o dell’attività di psicoterapia) a coloro i quali, senza la qualifica acquisita attraverso questa forma di equiparazione, non potrebbero continuare ad esercitare al suo interno. Al contrario, in un settore in cui continua ad essere possibile l’esercizio dell’attività dello psicologo che eroga prestazioni sanitarie in quella branca della psicologia clinica denominata Neuropsicologia, non si comprende davvero né la ragione né l’utilità di una simile operazione, se non nel senso insidiosissimo di un interessato tentativo di riformare la norma riservando, appunto come per la psicoterapia, le prestazioni neuropsicologiche ai soli Specialisti. E che questo non sia solo un malevolo sospetto lo si può evincere dallo stesso testo del succitato verbale della Commissione di Neuropsicologia dell’Ordine del Piemonte che, nelle righe di introduzione al tema “sanatoria”, così riporta: “…viste le poche scuole di neuropsicologia presenti in Italia e i pochi specializzati, ci si chiede chi lavorerà nei servizi e chi potrà svolgere l’attività neuropsicologica. La proposta è appunto la sanatoria, com’era successo anni fa con quella per gli psicoterapeuti.” Ora, è proprio sull’utilizzazione del termine “attività”, presente tanto nel documento redatto dall’Ordine del Lazio (nell’espressione “specifica attività del neuropsicologo”) quanto nel verbale della Commissione dell’Ordine del Piemonte (nell’espressione “attività neuropsicologica”), che, a nostro avviso, occorre fare estrema attenzione, in quanto si tratta dello stesso termine che compare nel citato art. 3 della Legge 56/89 e dal quale discende la riserva di una intera attività professionale (nel caso di specie, quella della psicoterapia) a quanti abbiano i requisiti della Specializzazione universitaria quinquennale o, in alternativa, quelli richiesti dalla “sanatoria” ex art. 35 della stessa legge! Per questo motivo, la nostra Associazione ritiene di doversi mobilitare e chiede il sostegno dei suoi iscritti e di tutti coloro che intendano ad affiancarci in una battaglia per l’ autonomia e la dignita’ della professione di psicologo operante nel settore della Neuropsicologia. rilevato quanto si sta pensando di fare, da parte di esponenti di rilievo della nostra stessa professione, appare indispensabile essere numerosi ed uniti per combattere, in tutte le sedi piu’ opportune, in favore del pieno rispetto del diritto e delle norme vigenti, contro qualunque tentativo di stravolgere le regole alla base della professione di Psicologo, che produrrebbe certamente sacche di privilegio indebito ed illegittimo, sulle quali sara’ fin troppo semplice pensare di lucrare! va, oltretutto, fortemente stigmatizzato il fatto che rappresentanti di colleghi, eletti negli ordini regionali, mirino alla introduzione di norme che limitino l’esercizio della professione da parte di coloro che ne fanno parte (e che, li sostengono finanziariamente), impedendo l’erogazione di prestazioni sanitarie (diagnosi neuropsicologica come forma di diagnosi psicologico clinica) tanto legittime da essere state riconosciute come “atti tipici” professionali da un documento approvato dal Consiglio nazionale dell’ordine Per tutti questi motivi, l’Associazione Italiana di Neuropsicologia - AINp ha deciso di levare forte la sua voce per tutelare i colleghi che potrebbero trovarsi, per un improvviso mutamento del quadro normativo, nella impossibilità di proseguire l’esercizio di una attività professionale lungamente praticata, magari al di fuori del circuito della sanità pubblica, con ingenti investimenti in formazione E AGGIORNAMENTO presso privatI, come pure per difendere coloro che, affacciatisi da poco sul mondo della neuropsicologia, stanno acquisendo conoscenze che vorrebbero un giorno utilizzare nella pratica professionale, per potersi confrontarsi, pur in assenza del titolo specialistico, in un leale confronto regolato dalle leggi del mercato, con i colleghi che, al contrario, hanno voluto e potuto conseguire quel titolo. Riteniamo che solo il rispetto delle norme vigenti (vedasi documento di “REVISIONE DELLA NORMATIVA ITALIANA SULLA FIGURA DEL NEUROPSICOLOGO”, redatto dal Consiglio Direttivo AINp) garantisca, anzitutto, agli Psicologi di non vedersi precludere un campo di attività (prevenzione, diagnosi, attività di abilitazione-riabilitazione, che non possono non valere, ovviamente, anche per il settore della Neuropsicologia) tanto peculiare da essere stato addirittura esplicitato nel primo articolo della Legge che ne regolamenta la professione! E sottolineiamo, comunque, l’importanza, per un chi voglia occuparsi di neuropsicologia, di un’adeguata FORMAZIONE SCIENTIFICA in tale ambito, da acquisirsi anche dopo la laurea, di una ESPERIENZA PRATICA sul campo e di un costante AGGIORNAMENTO, al fine di svolgere il proprio lavoro nel pieno rispetto della propria professionalità e dell’utenza stessa. Torniamo pertanto a chiedere a tutti i colleghi cui è indirizzato questo comunicato di far pervenire il loro pensiero in merito, sia esso solidale o critico con quanto sosteniamo, in modo tale da farci proseguire, con la forza e la consapevolezza del sostegno proveniente da chi condivide la nostra posizione, lungo la strada della effettiva tutela della professionalità di tutti gli Psicologi che si occupano di Neuropsicologia. Torino 09 ottobre 2010 F.to Il Consiglio Direttivo Nazionale AINp |